Simona
Liberati è nata nel 1969, vive e lavora a Roma
Si è diplomata al Liceo Artistico “S. Orsola”
e ha conseguito la laurea in Architettura presso
l’Università di Roma, con una tesi sulla
riqualificazione
dell’area del Borghetto Flaminio.
Ha un’ottima conoscenza della lingua Inglese
e del francese.
Come architetto ha, fra l’altro, collaborato alla
realizzazione del nuovo Foyer del Teatro Valle,
al restauro e al consolidamento della Cattedrale di
Urbino, del Palazzo del Collegio Raffaello
di Urbino, della chiesa della SS. Annunziata a Camerino,
della chiesa dei S. Onofrio e Giulitta a Venarotta.
Dal 2004 ha preso a frequentare i corsi Liberi presso
la RUFA “Rome University of Fine Arts”,
di nudo e di pittura.
Ha partecipato alla mostre collettive:
– “Vita ispirazione al femminile”
inauguratasi presso il Salone delle Fontane all’EUR,
e successivamente presso le Scuderie del Palazzo Ducale
di Atri;
– Mostra degli allievi dei corsi liberi presso
la sede della RUFA “Rome University of Fine Arts”;
– Inserita nel Catalogo del “Premio Celeste”
2005 con il quadro “Liberazione” olio su
tela 100x130.
Nel 2006 presso la Galleria dell’istituto dei
Portoghesi di Sant’Antonio in Roma mostre collettive,
“INCONTEMPORANEA” Patrocinata dall’Ambasciatore
del Portogallo presso la
Santa Sede, e “ARTE PER L’AFRICA”
Patrocinata
dal Ministero per i Beni e le attività culturali
e il Comune di Roma, mostra concorso “L’ALCHIMIA
DELLA CARTA E DEI COLORI” presso la sede di Vertecchi
di Via Pietro da
Cortona.
Questa è la sua prima personale.
Simona
Liberati was born in 1969, she lives and works in Rome.
She has a diploma from the Liceo Artistico “S.Orsola”
and a degree in Architecture from the
University of Rome. Her thesis was on the
upgrading of the Borghetto Flaminio.
She is proficient in English and French.
As an architect, she has, among other things, worked
on the creation of a new foyer for the Teatro Valle,
on the restoring and re-inforcing of the structure of
the Cathedral and the
Palazzo del Collegio Raffaello in Urbino; as well as
the churches of SS. Annunziata in
Camerino and S. Onofrio and Giulitta in
Venarotta.
Since 2004 she has attended Open University courses
on painting, with particular emphasis on nudes, at the
“Rome University of Fine Arts” (RUFA).
She has taken part in exhibitions with other
artists:
– “Life from the Female Perspective”
at the Salone delle Fontane in EUR and
subsequently at the Scuderie del Palazzo
Ducale in Atri;
– and a combined exhibition of work by the Open
University students at RUFA,
– the“Rome University of Fine Arts”;
her painting “Liberazione” (100x130 oil
on
canvas) was selected for insertion in the
“Premio Celeste” catalogue of 2005.
In 2006 her work was on show in a collective exhibition,
“INCONTEMPORANEA,”
sponsored by the Portuguese Ambassador for
the Holy See at the Galleria dell’istituto dei
Portoghesi di Sant’Antonio in Rome; in “ART
FOR AFRICA” sponsored by the Minister for Culture
in Rome; and her pictures have also
been selected by Vertecchi’s for an art
exhibition held at their main art store in Via Pietro
da Cortona and entitled “THE
ALCHEMY OF PAPER AND PAINT.”
This is her first one-person show.
ANIMALIA simona
liberati
A cura di Gloria Porcellae Alessandro
Riva
La mostra sarà inaugurata
alla presenza dell'On. Gianni Borgna - Assessore alle
Politiche Culturali del Comune di Roma
dal
6 novembre 2006
Piazza di Spagna 81 -
Roma
“Animalia” è il titolo
che Alessandro Riva ed io abbiamo voluto scegliere per
presentare la mostra di Simona Liberati alla Cà
d’Oro. Come direttrice della storica Galleria
di Piazza di Spagna ho l’opportunità di
vedere le immagini di moltissime opere d’arte
e quando ho visto per la prima volta le foto dei particolari
dei quadri di Simona ho sentito il desiderio di vederli
dal vivo. Si sa un’opera d’arte in una foto
non rende mai la “bellezza” del quadro,
non ti da quel trasporto che provoca la stessa immagine
dal vivo.
Il mio augurio è che lo stesso effetto che ho
provato io quando ho visto dal vivo i quadri della Liberati,
lo provochi a voi questa mostra. Gli animali raffigurati
nei quadri di Simona non sono i soliti animali, classici,
dipinti da molti artisti, i cani, i gatti o i cavalli
ma sono animali in “cattività” dallo
sguardo penetrante, il gorilla, il rinoceronte, il fenicottero,
dai colori accesi, vivi. L’impressione che si
ha è che il quadro sia tridimensionale, che l’animale
esca dal dipinto e che non sia parte di esso. Gli occhi,
messi in risalto ancora di più dai colori, ti
affascinano e ti fasciano, te li senti “addosso”.
Alcuni incutono timore, altri tenerezza, altri ancora
riflettono lo stato d’animo dell’artista
stessa, di Simona e delle “varie Simone”.
A me sembra quasi un’autobiografia su tela. Il
mio
augurio più grande va ad una giovane donna pittrice
che si affaccia nel panorama artistico italiano, come
gallerista tutto il mio supporto affinché questa
sia il primo dei suoi numerosi successi e che la Cà
d’Oro, così come ha fatto per altri che
sono passati nei suoi locali, sia il trampolino di lancio
per un futuro “Maestro dell’Arte”.
Gloria Porcella
Direttrice Galleria Cà d’Oro
“Animalia” is the title that
Alessandro Riva and I have chosen to present Simona
Liberati’s paintings at the Cà d’Oro.
As part of my work managing the historic Galleria di
Piazza di Spagna I have the opportunity to see pictures
of innumerable works of art. The first time I was shown
photos of Simona’s paintings I couldn’t
wait to see the originals. As we know, a photo can never
really do justice to a work of art. It never has the
same immediate effect which transports you when you
see the original. I hope the effect Simona’s pictures
had on me will also communicate itself to you when you
see them on show. The animals depicted in her paintings
are not the normal everyday animals other artists choose
to portray – dogs, cats or horses – but
are animals “in captivity” with eyes that
capture your attention. The gorilla, the rhinoceros,
the flamingo. In bright vivid colours. The impression
you get is that the picture is tri-dimensional and that
the animal springs out of the painting and is not just
a part of it. The eyes, brought out by Simona’s
colours, captivate and capture you. You can’t
get away from them. They reach out and touch you. Some
fill you with fear, some with tenderness. Others seem
to reflect the artist’s state of mind. They reflect
Simona, or the various facets of Simona.
For me they are almost an autobiography on canvas. I
fervently hope that this exhibition will be one of the
first of many great successes for this talented young
painter and help her take her place as a rising light
in the Italian Art World. I am happy to give her my
complete support and feel certain that the Cà
d’Oro, as it has done for other artists who have
graced its portals in the past, will serve as a springboard
for a future “Master of Art.”
Gloria Porcella
Direttrice Galleria Cà d’Oro
Il
bestiario, metafora di libertà
Tra i tanti difetti che permeano la cosidetta arte contemporanea,
ce n’è uno che impedisce a chiunque la
pratichi di trattare alcuni temi specifici che vengano
giudicati troppo poco “d’avanguardia”.
Uno di questi temi è per l’appunto quello
della rappresentazione degli animali. La rappresentazione
di leoni, lupi, gatti, cani, mucche, pesci, cavalli
e uccelli è diventata, insomma, inspiegabilmente
e drammaticamente un tabù che solo in rarissimi
casi viene violato. Se, infatti, è concesso ad
artisti d’avanguardia utilizzare l’animale
con intento ironico, dissacrante o persino velatamente
“politico” (pensiamo all’utilizzo
che
l’artista britannico Damien Hirst fa di veri squali
tagliati a metà e messi in formalina, o quello
che artisti italiani, come Luigi Serafini, hanno fatto
di galli, galline e altri volatili attraverso la tecnica
della tassidermia), è d’altra parte impossibile,
o comunque guardato con malcelata diffidenza, il semplice
utilizzo della più classica rappresentazione,
sia pittorica che scultorea, dei rappresentanti del
regno animale. Così, se un tempo il bestiario,
fin dal Medioevo, era un
genere ampiamente praticato e con una sua fisionomia
propria; se già greci, egizi e antichi romani
affrontarono la figurazione degli animali con grande
rigore scientifico e una forte attenzione naturalistica;
se addirittura nel diciassettesimo secolo quello della
rappresentazione di animali quali cani da muta, volpi,
leoni e lupi era diventata una vera e propria moda che
dava lavoro a moltissime botteghe d’artisti, le
quali lavoravano quasi unicamente sul tema della caccia,
tanto caro all’aristocrazia di campagna e di città;
se più avanti, nell’ottocento, molti artisti
ricercarono da una parte l’animale domestico nel
contesto di una ritrattistica di tipo borghese che rappresentasse
il mondo nella sua veste più pacata e conosciuta,
dall’altro quello esotico quale esempio di un
mondo diverso, di un’ altra civiltà dimenticata
nell’infanzia del progresso, dalla rappresentazione
della quale spopolarono leoni, tigri ed elefanti; se
insomma un tempo le bestie erano, differentemente a
seconda dei periodi ma con inesausta perseveranza, uno
dei soggetti privilegiati dell’arte, utilizzati
in vario modo e con gli intenti più diversi;
ebbene, oggi, che la società contemporanea non
considera la bestia se non quale alimento o, per rarissime
categorie, passatempo per signore (nel caso di cani
e gatti), l’animale è diventato fatalmente
un tabù che non è più possibile
rappresentare. E’ come se l’animale, qualunque
esso sia, in quest’ultimo secolo avesse subito
una sorta di violento ostracismo che gli impedisce finanche
di esistere a livello simbolico, giacché l’arte
è la massima espressione della rappresentazione
simbolica del reale.
Singolarmente, in questa cacciata metaforica dell’animale
dal paradiso dell’arte, anche la bestia fantastica
(draghi, grifoni, chimere, unicorni e gli altri che
da che mondo e mondo hanno rappresentato il regno animale
immaginario) hanno subito la stessa sorte, dimenticati
dall’arte e dalla sua straordinaria capacità
di rappresentazione. Eppure, nonostante questo, l’immagine
dell’animale persiste nel nostro immaginario con
straordinaria tenacia. Gli animali compaiono infatti
nei nostri sogni, anche se continuiamo a sterminarli,
a umiliarli e a disconoscerli nel mondo reale. L’animale
rimane nel fondo della nostra psiche come forma archetipa
delle nostre pulsioni, delle nostre passioni, dei nostri
istinti primordiali. Diceva Jung che “ Anima,
Amore e Animali giungono alla mia psiche insieme, indistinguibili,
un nodo che lega anima e bestia, desiderio e divinità,
anima e animale”. Se, dunque, oggi l’animale
viene bandito dal nostro sistema simbolico, di cui l’arte
rappresenta il punto più alto, è perché
è in atto, da parte dell’animale-uomo,
un processo di rimozione
della propria animalità, della propria origine,
della propria sfera emotiva primordiale, che egli cerca
in tutti i modi, con una certa dose di ingenuità,
di nascondere e di sotterrare.
Ho visto per la prima volta i lavori di SimonaLiberati
qualche mese fa nella galleria di Gloria Porcella, a
Roma. Il ragionamento che ho appena esposto mi è
passato per la testa con la velocità di un lampo.
Perché, mi chiedevo, perplesso e affascinato,
una giovane artista decide di muoversi con tanta sicurezza
e determinazione in una direzione considerata, che lo
si ammetta o no, un tabù per tutti o quasi tutti
i suoi colleghi?
Perché tornare a rappresentare il regno animale
con così tanta spavalderia, anche con tanta perizia
tecnica e pittorica, fuori dai registri dell’ironizzazione,
della denuncia o della dissacrazione, unici grimaldelli
oggi permessi per parlare del mondo animale senza essere
tacciati di retrogadi o d’ingenui dai saloni del
sistema? Ebbene, io credo che quella di Simona Liberati
sia una battaglia, una battaglia di riappropriazione
delle nostre origini, delle nostre pulsioni più
profonde, espressa in maniera metaforica
attraverso la rappresentazione.
La rappresentazione, oggi, è l’unica chiave
concessa a chi vuol negare l’elaborazione simbolica
dei nostri desideri, dei nostri sogni, delle nostre
libertà. Simona Liberati è tornata a fare
la cosa più antica del mondo: rappresentare animali,
come già facevano gli uomini primitivi nei primi
graffiti delle caverne. Attraverso la rappresentazione
precisa, realista ma di grande felicità pittorica,
degli ani mali che da sempre conosciamo dalle cartoline
illustrate, dai libri, dalle fotografie naturalistiche,
Simona ci parla di noi: delle nostre origini, delle
nostre passioni, dei nostri dolori non filtrati da quello
strano filtro chiamato civiltà.
Non a caso, l’artista rappresenta gli animali
sempre in primo piano: quasi che, dell’animale,
non le interessasse se non l’aspetto per così
dire “umano”, psicologico, insomma l’anima
nascosta sotto la pelliccia o sotto il piumaggio dell’animale
di volta in volta rappresentato.
L’animale, con Simona Liberati, torna a liberarsi,
per un momento, seppure solo a livello simbolico, dalla
costrizione e dell’umiliazione a cui un altro
animale, l’uomo, l’ha fatalmente costretto.
E noi stessi torniamo per un momento a sognare, a divertirci,
a volare alto, insomma a liberarci dalle costrizioni
e dalle gabbie che uno strano fenomeno chiamato civiltà
ci ha irrevocabilmente costruito intorno.
Alessandro Riva
Bestiary,
metaphor and freedom Among the many defects prevalent in so-called
contemporary Art is one which precludes artists from
tackling certain themes which are considered
insufficiently “avant-garde.” One of these
is depicting animals. Lions, wolves, cats, dogs, cows,
fish, horses and birds have inexplicably and irrevocably
become something of a taboo which only on very rare
occasions can be overridden or ignored.
While avant-garde artists are permitted to use animals
to ridicule, to debunk or as an ill-concealed “political”
comment (take the British artist Damien Hirst for example
who cuts real sharks in half and puts them in formalin,
or Italian artists such as Luigi Serafini who have embalmed
cocks, chickens and other poultry), the simple use of
the most classical representatives in the animal kingdom,
whether in sculpture or in paintings, is looked down
on and regarded with disdain. So, even if during the
Middle Ages, the art of Bestiary was widely practised
and with its own physiognomy; if Greeks, Egyptians and
Ancient Romans depicted animals with scientific rigour
and attention to natural detail; if in the 17th century
it became fashionable to depict animals such as bloodhounds,
foxes, lions and wolves thus providing hundreds of artists
with work thanks to the popular theme of hunting, so
dear to the hearts of town and country aristocracy;
if later on in the 18th century many artists used docile
domestic animals when painting comforting middle-class
interiors; or more exotic, wilder beasts to represent
a different world, a forgotten civilisation when progress
was in its infancy, one teeming with lions, tigers and
elephants; if, as I say, animals were, notwithstanding
the period, an untiring and unceasing favourite subject
of art, used in various ways and for different reasons,
why today does contemporary society consider them only
as a source of food or at the very best a companion
for ladies (dogs and cats for example); in short, the
poor beast has become an “animale non grata”
in the art world. It’s as if the animal, whatever
its breed, has suffered a kind of violent ostracism
which prevents it from existing on a symbolic level
even though art is supposed to be the maximum symbolic
expression of the real. In this metaphoric expulsion
of the animal from the paradise of art, even those in
the imaginary animal kingdom (dragons, griffins, unicorns
and such) have suffered the same fate. And yet, in spite
of this, images of animals linger in our minds and imaginations
with extraordinary tenacity. They appear in our dreams
even if we do our best to get rid of them and try not
admit them to the “real world.” They remain
fixed in the depths of our psyche as a kind of archetype
of our pulsions, our passions and our primaeval instincts.
Jung says that “ Soul, Love and Animals mingle
and merge as an intrinsic part of my psyche. One is
indistinguishable from the other. It is an untieable
knot that binds man and beast, desire and divinity,
‘anima’ and animal”.
If today therefore the animal has been banned from our
symbolic system, of which Art represents the highest
point, then man is undergoing a suppression of his own
animality, of his own origins, and his own primordial
emotional sphere which he endeavours, with the odd dose
of ingenuousness, to bury and hide in every way he can.
Some months ago I saw Simona Liberati’s work for
the first time in
Gloria Porcella’s gallery in Rome. What I have
just been saying flashed through my mind. Why, I asked
myself, fascinated and puzzled at the same time, should
a young artist decide to move with such bold self-assurance
and conviction in a direction considered, whether openly
or not, as taboo for all, or almost all, of her colleagues?
Why go blithely against the current art tide by the
animal kingdom with such singular determination and
such
pictorial and technical expertise? At once indifferent
to norms and regardless of irony or the need to ridicule
or debunk, considered by the Solons of the
system as the standard and only admissible key for entering
the animal kingdom without being labelled oldfashioned,
retrograde or naïve.
In my opinion Simona Liberati is on a mission, a mission
to help us regain possession of our origins, of our
most profound pulsions, expressed
metaphorically via representation.
Representation, today is the only way open to those
who reject the symbolic realisation of our desires,
of our dreams, of our freedom. Just as primitive
cavemen did with the graffiti on their walls, Simona
Liberati has gone back to portraying animals in all
their simplicity and not as symbols for our hidden hangups.
In her big happy pictures she shows
animals as they really are in theirnatural habitat,
as we are used to seeing them in picture postcards,
photographs and illustrations. In so doing she directly
communicates to us - to our origins, our passions, our
trials and tribulations - and doesn’t seek to
filter them through a ‘civilised’ veil.
Little wonder then that her animals are always seen
in ‘closeup’ and figure loud and clear in
her paintings to convey the soul of the portraying animal
hidden under a mass of fur and feathers. With Simona
Liberati the animal frees itself once more, albeitbriefly
and at a symbolic level, from the humiliations and constrictions
inflicted on it by another animal – Man. And we
too, thanks to this artist, are able to dream again,
enjoy ourselves, peck open our self-inflicted shells
and prepare for a skyward flight of fancy, freeing ourselves
from the cage of conventional restrictions that a strange
phenomenon known as civilisation has built up around
us.
Alessandro Riva