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Agostino
Muratori
Roma
- Galleria Ca' d'oro
Piazza di Spagna 81
Altre mostre: 1998
Il Pittore e il Bonsai
«La storia mi piace romanzarla. Non approfondisco, faccio
errori geografici, storici, architettonici.
Privilegio una sola cosa: il senso del gioco. Come un
bambino che gioca ai soldatini e prepara la scena di
una battaglia. Per fermarsi lì, prima del colpo di cannone».
Oppure:
«Sopporto tutto, anche la
stroncatura furente. Basta che non si dica di un mio
quadro che è "carino" o che è fatto "con tanta pazienza".
Ma quale pazienza? Quella si mette nelle cose che non
ti piace fare». E infine: «Non mi sento affatto sminuito
se qualcuno giudica i miei quadri come elementi da arredamento.
Mi va benissimo. Solo che prima de- vono piacere a me.
Poi agli altri».
Agostino Muratori, romano
doc, nonché medico per vivere, botanico per passione
e pittore per urgenza d'esprimersi, parla chiaro.
Gli inglesi direbbero che è un amateur, un dilettante,
ma dopo dieci mostre e centinaia di quadri dipinti e
venduti chi può definirlo così?
Stavolta ha preparato una cinquantina di "pezzi" per
un'esposizione che ha voluto intitolare spiritosamente
- e forse anche programmaticamente - Roma: viste e sviste.
Le viste sono i "paesaggi", ricchi di dettagli ornamentali
e variazioni cromatiche; le sviste sono il divertimento
che Muratori distilla nel reinventare, pantografando
infedelmente vecchie stampe o calendari marinari, disegni
scenografici o fotografie d'epoca, una Storia che è
solo un pretesto.
L'hanno definito un "lussureggiante",
e certo il suo amore per le piante - per un verde che
s'allarga allo spirito e ne colora le debolezze - torna
in molte di queste pitture su legno.
Realizzate con un gusto miniaturistico che, giustamente,
non è frutto di "pazienza", quanto di follia.
Una quieta, estrosa, felice follia che si manifesta
nel "rimpicciolire" le persone (nobili settecenteschi,
guerrieri afghani o bersaglieri alla presa di Porta
Pia) con l'occhio dell'esteta burlesco.
Non sarà un caso che Muratori si diverta nella sua amata
Anzio a plasmare "bonsai" sempre più fantasiosi e inquietanti,
sfidando a suo modo le armonie naturali per riprodurle
in scala: "mostri" per alcuni, "miracoli" per altri.
Qualcosa del genere accade con
i suoi quadri. Abolito il primo piano eloquente, aggirata
la prospettiva dentro un gioco che deforma e sdilomba
gli spazi reali, azzerato il ruolo attivo delle folle.
Muratori aggiorna la lezione dei vedutisti italiani
e dei maestri fiamminghi senza dimenticare una sensibilità
impressionista.
Chi scrive è un critico di cinema,
non un esperto d'arte, per cui perdonerete l'imprecisione
dei riferimenti. Epperò da questi quadri di vario formato
- siano essi una veduta di Istanbul dal mare o una Piazza
del Popolo con macchine d'epoca, una Trinità dei Monti
o un Orto Botanico, un Pincio con la neve o una caccia
al bisonte in stile Balla coi Lupi emerge una "qualità"
quasi cinematografica che sorprende e avvince.
Sarebbero piaciuti, credo, a un Cecil B. De Mille o
a un Serghei Bondarciuk.
C'è una logica infantile in tutto ciò?
Forse.
E del resto, Muratori non ne fa mistero.
Un po' per debolezza civettuola, un po' per intima convinzione,
questo pitto-giardiniere fa le cose sul serio senza
prendersi sul serio.
Copia, ricicla, immagma, storicizza e goliardeggia:
il pedante sarà lì a fargli le pulci, il fantasioso
si lascerà cullare dallo scherzo.
«Mi piace preparare la scena»,
dice e teorizza Muratori.
Ma il puntiglio paesaggistico e anche un modo per calarsi
fanciullescamente in una Roma che non esiste più, nonché
in un'infanzia vissuta nel culto di un Far West avventuroso
che qua e là occhieggia da un esterno desertico o da
una memoria alla Remington.
Di lui ha scritto il critico Romeo
Lucchese: «Ogni quadro è uno specchio della metamorfosi.
Egli dipinge in uno stato di trance onirica». Vero,
anche se questa condizione di sospesa beatitudine appare
sempre disciplinata al respiro geometrico della composizione,
alla precisione maniacale di un tratto affinato negli
anni, al piacere minuzioso dell'illustratore che gioca
con la fissità degli scenari per evocare improvvisi
e segreti "movimenti" all'angolo (come non pensare a
I misteri del giardino di Compton House di Greenaway?).
Negli anni Sessanta un celebre film di fantascienza
di Richard Fleischer, Viaggio allucinante, ipotizzava
una missione salvifica dentro il corpo umano.
Miniaturizzati a tempo, alcuni scienziati risalivano
le arterie e attraversavano gli organi di un malato
"eccellente" per arrivare al cervello e rimuovere l'embolo
fatale.
Muratori avrà di sicuro visto il film, e piace pensare
che quella scena finale -
i sopravvissuti usciti dall'occhio sospinti da una lacrima
grossa come una cascata e pronti a ingrandirsi di nuovo
- abbia segnato in qualche modo la sua fantasia.
Piccoli uomini persi nella Storia, ma in fondo capaci
di farla (o di goderne i piaceri).
Michele Anselmi
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