a cura di
GLORIA PORCELLA
testo di
MAURIZIO CALVESI
Promotore
On. CLAUDIO SANTINI
Consigliere Comunale di Roma
Roma
Biblioteca Vallicelliana
Piazza della Chiesa Nuova 7a
06-6796417
26 Novembre-7 Dicembre 2002
lun-giov. 8,30-19,15
ven-sabato 9,00-13,00
La Biblioteca più antica di Roma, la Biblioteca Vallicelliana di Piazza della Chiesa Nuova ospiterà dal 26 Novembre al 7 dicembre i 12 Pinocchi in legno di Mario Ceroli.
C’è voluto del tempo per individuare lo spazio giusto perché i Pinocchi di Ceroli non possono essere esposti in una Galleria o in un Museo, Pinocchio è quel bambino che come la maggior parte dei bambini non vuole studiare, Pinocchio doveva essere inserito in uno spazio con tanti libri in uno spazio dove si respira la storia, la cultura.
Il testo critico è stato preparato da Maurizio Calvesi grande storico dell’arte classe 1927 e curata da Gloria Porcella direttrice della Galleria Cà d’Oro.
Madrina della serata sarà la fata turchina Gina Lollobrigida.
Promotore della mostra evento l’Assessorato alla Cultura del Comune di Roma.
Il Mastro Geppetto Romano, genio del legno, ha creato delle opere straordinarie in mostra per la prima volta a Roma.
La sua Città Roma è un punto di partenza poiché la mostra girerà l’Europa, le prossime tappe saranno Londra e Berlino, poiché Pinocchio è patrimonio di tutti, così come Ceroli è patrimonio per tutti.
Il suo genio non fallisce mai, con i suoi “Pezzi di Legno” ha capito meglio anche se stesso ed il motivo del suo operare e chissà che un giorno questi burattini non diventino dei veri bambini……….
di Maurizio Calvesi
Le mie voci nella bibliografia di Ceroli (a cominciare da quella che l’apre, del 1964) saranno una ventina, forse più, eppure ogni volta che scrivo di lui l’opera che ho di fronte non solo è diversa, ma è una sorpresa che rinnova l’interesse e il piacere, che elettrizza la penna e la spinge a muoversi sulla carta: per dire, poverina, quel che sa dire, ma sempre con sincera e rinnovata ammirazione.
Ceroli non poteva scegliere un soggetto più congeniale al suo acuto talento, e non solo perché Pinocchio rinasce così nel legno dopo essere nato nel legno, ma perché pochi eroi della nostra letteratura sono più prettamente italiani della sbarazzina creatura di Geppetto e poche invenzioni della nostra scultura risultano più originali e meno ripetitive.
Dico poche per dire quasi nessuna. Mi tornano a mente le giuste parole di Cesare Brandi: “L’importante è di non ripetere, di non soggiacere, di non succhiare la ruota del primo in classifica.
Ceroli ha fatto una fuga, per continuare in gergo ciclistico: è di nuovo in testa, ed è quanto di più italiano (sottolineo la parola e chiaramente in senso strutturale e non nazionalistico) ci sia oggi in Italia.
Fra giovani, ben inteso”. Di decenni ne sono passati, ma non cambierei una parola, salvo cassare quel “fra giovani” (penso che Brandi volesse evitare, con tale aggiunta, un’irriverenza verso il suo amico Manzù).
Ceroli, in realtà, è sempre rimasto nel gruppo di testa; in altre parole, continua oggi ad essere tra i due o tre maggiori del nostro paese, nella scultura, e volendo allargare al mondo, mi limiterei a raddoppiare il numero. E’ il solo, però, a sottrarsi del tutto a quel “peso solenne” che della scultura è proprio e rischia a volte di renderla incompatibile con i gusti di chi (non il sottoscritto) concepisce la modernità unicamente come affrancamento, totale, dal passato.
Non il sottoscritto, ho voluto precisare, e tuttavia apprezzo anch’io, moltissimo, tale capacità d’affrancamento, quando non è a prezzo delle qualità, della piena credibilità come arte. Ed è sempre stato il caso di Ceroli.
Con Pinocchio egli aggiunge una saporita grazia di racconto e di burla, che non è propriamente ironia, ma è rivivere, far rivivere, quell’arguzia e sapienza di Collodi nel coniugare lo stupore infantile della favola con la piana, didascalica maestria del racconto, nel tratteggiare l’incontenibile vivacità del ragazzo burattino e il suo incontrarsi con situazioni allegre, o inattese, o sconsolanti.
Così il Pinocchio di Ceroli siede, cammina, si inginocchia, si gira, si piega, si agita e con la pulita, diritta e ben staccata geometria dei suoi agitati movimenti parla, esprime stati d’animo di spensieratezza, impudenza, implorazione, disperazione, riflessione, abbattimento; e sorpresa e meraviglia di fronte all’improvviso, iperbolico allungarsi del proprio naso.
Parla con le sue linee spezzate, con i verdi i grigi gli azzurri degli indumenti, i rossi delle lunghe orecchie d’asino o quelli aguzzi dei timpani che sormontano il volto cubico, cavo, che è il teatrino stesso delle sue gesta, parla con l’eloquente mimica delle braccia e delle gambe in un gioco armonico, astratto di piani e di colori, gioia degli occhi e continuo variare del racconto.
Non vedo chi altri avrebbe saputo esprimere tutto ciò con la finezza (straordinaria) e l’inventività di Ceroli.