Bruno Grassi “Tra sacro e profano”
a cura di Gloria Porcella
Si inaugura martedì 23 novembre alle ore 18,30 presso la Basilica romana di Santa Maria degli Angeli in piazza Esedra la mostra di Bruno Grassi sul tema “La sfida dell’arte sacra all’alba del Terzo Millennio”. In contemporanea presso la galleria Cà d’Oro di piazza di Spagna 81 lo stesso pittore espone una mostra dedicata al mistero della donna. Ecco perché c’è chi, legando le due mostre che si svolgono contemporaneamente in due ambiti profondamenti diversi e con finalità differenti, ha detto che le due mostre stanno “Tra sacro a profano”. Grassi spiega che ha scelto, assieme alla sua gallerista Gloria Porcella, di cimentarsi in due temi apparentemente così lontani perchè lui è un artista con i piedi per terra, che vive pienamente il suo tempo e che, come credente, ha una visione concreta, fisica, del miracolo di Gesù, del Dio che si è fatto uomo e che, in forza di questo straordinario evento, è diventato per la prima volta nella storia delle religioni monoteiste, anche rappresentabile.. Questa mostra in Santa Maria degli Angeli è un Manifesto per la sopravvivenza dell’arte sacra anche nei giorni nostri: “Potevo fare un manifesto di parole ” annota Grassi “ho preferito invece fare un Manifesto di dipinti”. Grassi aggiunge: “Sono convinto di essere riuscito a vincere questa sfida anche se il giudizio, a questo punto, non mi appartiene più. Lo lascio a coloro che vedranno i miei quadri anche se mi conforta il grande successo che alcuni di essi hanno già avuto all’ultimo Meeting di Rimini dove alcuni di essi sono stati esposti in anteprima”. La pittura profana di Bruno Grassi punta invece sul mistero della donna a tal punto che, alle volte, nei suoi quadri, le donne vengono addirittura riprese di spalle. E’, questo, un nascondimento rivelatore. Teso cioè a sottolineare il mistero, l’insondabilità e la complessità del mondo femminile. Le donne di Grassi, quando non si celano, restano comunque fuori dal tempo. In Francia, la sua pittura è stata definita “peinture figèe”, una pittura estatica. Le donne dei quadri di Grassi infatti guardano oltre (forse anche attraverso) chi le guarda. Sono esseri distaccati. Inseguono la bellezza e l’eternità.
BIOGRAFIA: Bruno Grassi, piacentino di origine, è un artista noto e multipremiato nonostante la sua abitudine a una vita appartata (“amo i percorsi artistici solitari”). Ha studiato all’Istituto d’arte“ Gazzola” di Piacenza sotto la guida di Luciano Ricchetti (a sua volta sodale di Mario Cavalieri) e dello storico dell’arte Ferdinando Arisi. Grassi, ogni anno, durante tutto il suo corso al “Gazzola”, è sempre stato premiato come migliore allievo dell’Istituto. Nel contempo, si è diplomato in corno presso il Conservatorio musicale “Nicolini” di Piacenza. Lui stesso commenta: “La ragione di questi miei due studi apparentemente così diversi è dovuta al fatto che sono da sempre legato alle forme e alle armonie. Forme e armonie che ho poi voluto sempre riproporre nei miei quadri”. La famosa “scuola pittorica di Piacenza” ha due veri capostipiti: Luciano Ricchetti (sironiano) e Osvaldo Bot (marinettiano). Dal primo esce Bruno Grassi e dal secondo Gustavo Foppiani. Ognuno, poi, con la loro nidiata di epigoni.
Bruno Grassi è stato scoperto, giovanissimo, da Ettore Gianferrari, il grande gallerista milanese titolare dell’omonima galleria di Via del Gesù che lo ha subito voluto fra le firme della sua prestigiosa scuderia di artisti. Ha riscosso la stima del critico Marco Valsecchi, curatore di Biennali a Venezia, che gli tributò il Premio nazionale Bolaffi Arte. Nel 2002 è stato premiato come miglior pittore dell’anno dalla sezione italiana del Pen Club International.
E’ stato inserito anche tra gli artisti nella recente mostra sul “Surrealismo padano” da De Chirico a Ligabue, curata da Vittorio Sgarbi. “ Credo di far parte a pieno titolo del surrealismo emiliano” dice Bruno Grassi “ un surrealismo che viene da lontano, molto prima che Andrè Breton lo codificasse in Francia”. Il surrealismo emiliano infatti, come rileva Vittorio Sgarbi, nasce addirittura con l’Ariosto, si afferma sulla scena internazionale con De Chirico e De Pisis e, passando per Ligabue e Foppiani, è ancora attivo e presente nel panorama artistico con firme molto significative tra le quali, appunto, anche quella di Grassi. E’ un surrealismo con mille teste ma con un’anima sola, frutto di una terra febbrile, carnale, vitalista e visionaria.
Bruno Grassi si sta interessando all’arte sacra solo da qualche anno. Non si dedica esclusivamente a questa arte anche se per essa, oggi, esprime grande impegno creativo. Per questo motivo la sua mostra romana si sviluppa contemporaneamente in due diversi scenari: l’arte sacra nella Chiesa di Santa Maria degli Angeli di Piazza Esedra e la produzione laica nella Galleria Cà d’Oro di Piazza di Spagna. Grassi non teme di essere considerato un passatista dedicandosi all’ arte sacra nella quale crede fermamente. Rivendica la sua contemporaneità dicendo: “ Ricorro alla figurazione ma non guardo al passato. Sono debitore di emozioni e suggestioni più a Luchino Visconti, a Giorgio Armani o a Anja Niedringhaus che a Giotto, Michelangelo, Raffaello. Non a caso lo storico dell’arte Ferdinando Arisi ha detto di lui: “ Quando un artista contemporaneo deve eseguire un quadro di arte sacra si documenta sugli autori del passato. A Bruno Grassi invece basta guardarsi dentro”.
L’arte sacra, nell’ultimo cinquantennio, denuncia chiaramente segni di crisi per la difficoltà degli artisti di dominare grandi superfici e soprattutto perché pochi posseggono, o almeno hanno dimostrato di possedere, una sensibilità religiosa. In questo panorama, l’artista piacentino è ritenuto un’eccellente eccezione concordando con Vialle che dice “C’è bisogno di un’arte che faccia pregare, che cerchi di svegliare la fede: abbiamo bisogno di ritrovare un assoluto che non sia solo quello dell’arte per l’arte”. A ridosso di Biennali che tentano di stupire, abituati alle mostre shock, eventi, performance e acrobatici virtuosismi, l’arte contemplativa di Grassi riconduce l’anima al proprio posto. Per lui l’arte deve saper evocare i misteri dell’esistere.