In collaborazione con la Società DANTE ALIGHIERI
Roma, Palazzo Firenze , Piazza Firenze 27
La grande retrospettiva di cinquanta dipinti di Fenoglio nel centenario della nascita ha un significato davvero probante: dai corposi eppur musicali autoritratti giovanili all’olio Pini di Roma a Natura Morta con pesci a Villaggio San Filippo, dai dipinti dedicati agli interni di Via della Fossa o alla Campagna romana o a una Stradina di periferia o alla sensibilissima Donna dormiente, fino alle ultime creazione in cui si avverte una sofferta decantazione lirica, Lina Fenoglio seppe seguire la linea di una spontanea ma anche rigorosa umanizzazione del dato sensoriale
Incline per temperamento alla elegia e alla favola interiore più che all’idillio, la pittrice riuscì a non depauperare l’ardore della propria sfera emotiva nei moduli di uno stile tardoromantico: se prestò ascolto alle mille voci di una incorruttibile armonia, dalle tenere visioni delle isole della nostalgia alle colline laziali alla intimità di certe composizioni con fiori alle toccanti interpretazioni figurali, non cedette mai ad alcuna morbidezza accattivante.
La poesia perenne è allora il cielo puro in cui si svolge il suo dipingere; che si conclude in un tessuto armonioso, terso, straniero delle antinomie che inaridiscono, nella miseria dell’oggi, le sorgenti dell’entusiasmo.Le delicate scansione di un Rousseau o di un Marchand si sono fatte, di là di qualsiasi tentazione neoprimitiva o di un programmato ritorno al registro oggettivo dopo le deviazioni postimpressionistiche, canto partecipato in totalità di consenso, un corale di sorprendente effusione. In tutte le opere si riscontra la stessa pulsione, con il supporto di una euguale sottigliezza di resa che non concerne le mere rispondenze formali, ma il clima estetico complessivo: l’olio Costa amalfitana. Mare e verde, la Ragazza con paesaggio, Domenica:le Tre amiche, un Interno con stufetta, i quartieri proletari, i fiori, le figure di bimbi e di adolescenti fanno parte di un ampio e indivisibile poema in cui il favoloso ed il patetico, come nei momenti vichiani prefazionali, migrano e si compenetrano, fra l’uno e l’altro sussulto dell’anima, in una osmosi impercettibile.