Palazzo Doria Pamphilj San martino al Cimino (Viterbo)
24 settembre 24 ottobre 2002
“E solo dalle voci capiremo, quali lotte, lì, quali ferite” (Osip Mandel’stam).
Nella partecipazione di alcune donne a un destino artistico o poetico c’è – sovente – lungo il tragitto del XX° secolo, il tono della leggerezza o del grido di gioia, il timbro del lamento o la partecipazione ad un respiro cosmico, il rimorso o la malinconia, la sfida o la resa consapevole ad un gioco che loro appartiene, comunque e nonostante tutto.
Alcune artiste hanno visitato più volte le contrade silenziose dei miti e avviato il cammino verso i misteri.
Baccanti invasate, menadi inquiete e inquietanti, isolane solitarie che raccolgono, pietose, la testa e la lira degli artisti e dei poeti sull’isola di Patmos o di Lesbo, sempre intente alla frequentazione delle acque e dei fiumi per raggiungere rive lontane da rendere prossime.
Artiste che - spesso – vivono in spazi esigui, e abitano sottilissime strisce di terra, ritmate da orologi che segnano ore sconosciute ai quadranti maschili, esse vivono ribellandosi alla sopraffazione sui loro sensi dal circostante mondo reale. Eterne dormienti esse sognano, respirano gli elementi naturali, comprendono con generosa creatività le dissimetrie forsennate dell’altra metà del cielo, l’universo maschile. Parlano la lingua della carezza o della turbolenza, dell’aria o del fuoco, dell’oceano in riposo o dell’inondante rivolta. La loro parola artistica è salvezza sempre. E se ha il sapore della trasgressione è sempre ricongiunzione cosmica.
In questo conteso abbiamo scelto cinque donne: Harumi Klossowska, Setsuko Klossowska de Rola, Inge Manzù, Cristiane Kubrick e Donata Wenders testimoni silenziose della loro dedizione all’arte, senza dimenticare l’intero tessuto connettivo di tutte le donne artiste e poetesse del XX° secolo.