Le
avventure di Giorgio de Chirico nel paese dell'emicrania
U. Nicola, K. Podoll
"Hai detto porcello o ombrello?"
disse il Gatto.
"Ho detto porcello", rispose Alice; "e ti sarei
grata se la smettessi di apparire e sparire così all'improvviso:
mi fai girare la testa!"
"D'accordo", disse il Gatto; e stavolta svanì
molto lentamente, cominciando dalla punta della coda per finire
con il sorriso, che rimase lì per qualche tempo dopo
che il resto era sparito.
"Bé! Mi è capitato spesso di vedere un
gatto senza sorriso", pensò Alice, "ma un
sorriso senza gatto! E' la cosa più curiosa che abbia
mai visto in vita mia!"
Tutti conoscono l'episodio del Gatto del Cheshire:
Alice guarda il gatto e questo svanisce a poco a poco; solo
il sorriso rimane, ma solo per un breve istante. Pochi sanno,
tuttavia, che alcuni neurologi hanno discusso la possibilità
che questa e altre straordinarie avventure possano essere
state ispirate a Lewis Carroll da una serie di altrettanto
strani sintomi dell'emicrania, patologia di cui, ormai è
definitivamente provato, anche l'autore di Alice nel paese
delle meraviglie soffriva . Il termine medico per il fenomeno
in questione è "scotoma astenopico" : il
paziente assiste alla graduale sparizione della cosa che sta
guardando; l'oggetto osservato sembra (semplicemente!) svanire.
Anche de Chirico riporta un episodio simile,
sia pure per ridicolizzare l'antico nemico. Nelle Memorie
della mia vita racconta di quella volta che vide Roberto Longhi,
l'odiato critico, letteralmente "sparire nel marciapiede".
Il fatto avvenne a Firenze in via del Calzaioli: "Passavo
sotto i portici della posta centrale; ad un certo momento
vidi Longhi che spuntava ad una ventina di passi nella mia
direzione; mi vide, calcolò in un battibaleno la distanza
e dedusse che se avesse continuato ad avanzare ci saremmo
scontrati come due piroscafi nella nebbia; non c'era tempo
da perdere ed egli ricorse al mezzo estremo: la magia; aprì
le braccia e fece un tuffo nel marciapiede; non esagero né
invento: Roberto Longhi sparì nel marciapiede"
. Evidentemente, deduce il Maestro, il livore di Longhi giunge
a "fenomeni che hanno del magico e del soprannaturale,
come il dono dell'ubiquità e la facoltà di sparire
quando vuole" .
E' una fra le pagine migliori di de Chirico.
Come gli era congeniale, racconta fatti incredibili, ma lo
fa in uno stile tanto brillante, con una tale leggerezza,
da farli sembrare veri e realistici. Poniamoci però
una domanda: è questo solo un brano di grande letteratura,
un mero esercizio stilistico, oppure, come a noi sembra, vi
si avverte l'inconfondibile sapore della verità? In
altri termini: è possibile che il Maestro abbia realmente
assistito alla magica sparizione di Longhi? Un'avvertenza,
prima di rispondere: sono molte le pagine di de Chirico che
pongono la stessa questione. Ad esempio quando pretendeva
di riuscire a vedere dentro gli oggetti, come se avesse una
sorta di vista a raggi X? O quando affermava di possedere
poteri speciali se non addirittura paranormali, come rivelazioni,
sogni premonitori e chiaroveggenti, febbri spirituali, visioni
di fantasmi e altre spettrali apparenze? La risposta è
affermativa. Possiamo credere al Maestro anche quando le sue
affermazioni, a parte l'ironia dell'episodio sopra riportato,
sembrano a prima vista incredibili. Queste eccentricità
(così almeno sono state fin'ora considerate) possono
essere state esperienze vere, realmente vissute. Come nel
caso di Carroll, la parola magica è "emicrania".
L'emicrania è un disturbo abbastanza
comune (coinvolge circa il 5-10% della popolazione) ma è
strano quanto poco se ne sappia. I pazienti non amano spiegare:
quando sono sotto attacco preferiscono stare soli e quando
la crisi è passata tutto desiderano tranne che parlarne.
Dall'altra parte chi non ne soffre non pone domande, perché
già presume di sapere cosa l'emicrania sia: un malanno
fastidioso ma poco interessante, più o meno una serie
di acuti mal di testa. Ma l'emicrania è nello stesso
tempo molto di meno e molto di più: Di meno, perché.
almeno per alcuni pazienti, non è una malattia grave;
potremmo chiamarla una dolorosa modalità dell'esistenza.
Di più, perché nell'emicrania, per usare le
parole del celebre neurologo-saggista Oliver Sacks, vi è
"un'autentica Africa di prodigi" .
Pochi sanno, ad esempio, che la presenza del
mal di testa non è un sintomo assolutamente necessario
ad una diagnosi d'emicrania. La letteratura neurologica considera
alcune varianti nelle quali la cefalea può essere assente
o sostituita da altri sintomi, come nausea, diarrea, vomito,
chinetosi, pallore, sudorazione, febbre, dolori addominali
e così via. Pochi sanno che un'altra forma di emicrania,
detta "classica" (o "emicrania con aura"),
è caratterizzata dalla comparsa di una serie di strani
fenomeni sintetizzati con il termine "aura".
L'aura è un complesso di sintomi, non
dolorosi in se stessi, che di solito annunciano un attacco
di cefalea. Il paziente può scoprirsi a parlare in
modo sbiascicato o dire certe parole al posto di altre; può
cadere in stati di alterazione mentale, come in una sorta
di raddoppiamento o di scissione della coscienza; può
sperimentare prolungati déjà vu, jamais vu o
altri disturbi della percezione del tempo; può vivere
elaborati stati onirici, come incubi, trances, sogni lucidi.
Allo stesso modo di Alice, può avere difficoltà
nel percepire ed usare il suo stesso corpo; può avere
l'impressione di fluttuare a qualche centimetro dal terreno
o che le mani, le braccia o il tronco si ingrandiscano; può
sentirsi anormalmente alto oppure piccolo-piccolo: non a caso
questo complesso di sintomi relativi alla percezione somatica
del corpo sono catalogati in neurologia con il nome di Sindrome
di Alice nel paese delle meraviglie . Infine, e questo è
il sintomo più frequente, può avere disturbi
visivi: luci puntiformi e scintillanti, linee a zigzag, deformazioni
della percezione spaziale, veri e propri buchi, zone di assenza
della visione e molto altro ancora. Un fenomeno molto comune,
detto "spettro di fortificazione" (figura 1), consiste
in un arco formato da linee zigzagati, qualcosa che ricorda
la pianta delle antiche città fortificate.
Cosa c'entra tutto ciò con de Chirico?
Era il 1988 quanto un neurologo inglese, Geraint N. Fuller,
ed un critico d'arte, Matthew V. Gale , dopo aver preso in
considerazione i numerosi sintomi descritti nelle sue opere
autobiografiche, per la prima volta suggerirono una diagnosi
di emicrania addominale, accompagnata da rilevanti fenomeni
auratici. Il lettore potrà trovare ulteriore documentazione
e tutte le evidenze in supporto alla diagnosi nella monografia
che abbiamo dedicato al caso: L'aura di Giorgio de Chirico.
Arte emicranica e pittura metafisica . E' impossibile in questa
sede elencare anche in modo sommario la grande quantità
di pagine in cui l'artista descrive, con grande accuratezza,
questi suoi stati mentali. Possiamo però affermare
due cose. Primo: la patologia sofferta dal Maestro è
un dato di fatto , molto ben documentato nei suoi scritti.
Secondo (e ciò sembrerà incompatibile solo a
chi non conosce lo strano mondo dell'emicrania) questo non
significa che egli ne fosse consapevole. Soffriva numerosi
sintomi auratici, ma non avendo mai ricevuto una chiara diagnosi
e rimanendo quindi la loro origine sconosciuta, spiegava questi
fenomeni come "rivelazioni", "febbri spirituali",
"fantasmi" o "spettri". Per lui erano
una specie di dono, eventi eccezionali che possono accadere
solo a uomini eccezionali, o meglio, per essere più
precisi, a quell'unico superuomo capace di emulare il modello
di Nietzsche, cioè de Chirico stesso.
Prima di tutto, però, egli era un pittore,
e ciò pone la questione cruciale: può tutto
ciò aver influito sulla sua arte? Analizziamo una singolare
testimonianza, il racconto della rivelazione di Firenze nel
1909. E' una pagina famosa, in cui il Maestro spiega in dettaglio
le circostanze in cui gli accadde di avere l'ispirazione del
primo quadro metafisico. "Lasciatemi raccontare come
ebbi la rivelazione dell'opera che esporrò quest'anno
al Salone d'Autunno, dal titolo 'Enigma di un pomeriggio d'autunno'.
In un limpido pomeriggio autunnale ero seduto su una panca
nel centro di piazza Santa Croce a Firenze. Naturalmente non
era la prima volta che vedevo quella piazza: ero appena uscito
da una lunga e dolorosa malattia intestinale ed ero quasi
in uno stato di morbosa sensibilità. Tutto il mondo,
finanche il marmo degli edifici e delle fontane, mi sembrava
convalescente. Al centro della piazza si erge una statua di
Dante, vestita di una lunga tunica, il quale tiene le sue
opere strette al proprio corpo ed il capo coronato dall'alloro
pensosamente reclinato. La statua è di marmo bianco,
ma il tempo l'ha ricoperta di una patina grigia, molto gradevole
a vedersi. Il Sole autunnale, caldo e forte ["tiède
et sans amour" nel testo originale francese] rischiarava
la statua e la facciata della chiesa. Allora ebbi la strana
impressione di guardare tutte le cose come per la prima volta
e la composizione del dipinto si rilevò all'occhio
della mia mente. Ora, ogni volta che guardo questo quadro
rivedo ancora quel momento. Nondimeno il momento è
un enigma per me, in quanto esso è inesplicabile. Mi
piace anche chiamare enigma l'opera da esso derivata"
.
Pensiamo questo racconto testimoni come de
Chirico sia stato capace di trasformare l'aura in una fonte
di ispirazione, attraverso un processo creativo simile a quello
di Carroll. Rileggiamo l'esperienza dal punto di vista neurologico
. Inizia con un chiaro riferimento all'emicrania addominale
(la "lunga e dolorosa malattia intestinale") - vedi
figura 2 - e con una bella definizione della condizione psicofisica
tipica dell'emicrania (uno "stato di morbosa sensibilità").
Quindi viene un accenno ad un tipico sintomo emicranico, la
fotofobia o scarsa tolleranza alla luce (figura 3); di origine
fotofobica, infatti, potrebbe essere lo strano epiteto ("sans
amour") usato per descrivere la luce solare, così
come l'apprezzamento di una patina grigia "molto gradevole
a vedersi". Finalmente troviamo una buona descrizione
di un jamais vu, quel tipo di sensazione "impossibile"
in cui cose usuali appaiono ignote: a quel tempo il Maestro
viveva in Firenze e di certo Santa Croce gli era famigliare,
ciononostante ebbe la strana sensazione di vedere la piazza
"come per la prima volta".
Il jamais vu (una paramnesia , ossia un'alterazione
dell'attività mnemonica per cui il presente è
patologicamente dissociato dal passato) è forse il
fenomeno su cui de Chirico ha più riflettuto. Non a
caso in un passo dei Manoscritti giovanili utilizza un'idea
di Schopenhauer per descrivere le rivelazioni come una specie
di disconnessione della memoria. " Una vera opera d'arte
immortale", scrive, "può nascere solo dalla
rivelazione. Forse è stato Schopenhauer a formulare
la migliore definizione, e, (perché no) la migliore
spiegazione del fenomeno quando in 'Parerga e Paralipomena'
afferma che: 'Per avere idee originali straordinarie e forse
persino immortali, è sufficiente isolarsi dal mondo
per alcuni minuti così completamente che i più
comuni eventi appaiano nuovi e sconosciuti, rivelando così
la loro vera natura'. Se al posto di idee originali, straordinarie
ed immortali, si pone la nascita di un'opera d'arte (pittura
o scultura) nella mente di un artista, si ha il principio
della rivelazione in pittura" . E il tema dell'improvviso
fermasi della memoria è al centro del suo saggio Sull'arte
metafisica, là dove sviluppa il concetto di "solitudine
dei segni" , il suo massimo sforzo di elaborazione poetica.
In realtà momenti (a volte prolungati) di jamais vu
possono presentarsi durante l'aura emicranica, assieme ad
una variegata serie di altri sintomi. Esaminiamone alcuni.
Gli Interni metafisici
Negli Interni metafisici gli oggetti non sembrano collocati
nello spazio. Le distanze paiono annullarsi e le prospettive
farsi assurde; cessano di significare la profondità
e diventano diagonali impossibili; più che costruire
negano lo spazio. L'effetto finale è che gli oggetti
sono ridotti a pure forme su un piano, come una specie di
puzzle o di mosaico (Interno metafisico con profilo di statua,
1962, Interno metafisico con pere, 1968, Interno metafisico
con palla e biscotti, 1971).E' esattamente quando accade in
quel complesso di fenomeni noti in neurologia con il termine
"metamorfopsia" , un importante sintomo auratico
(figura 4). Del resto anche parlare di oggetti non è
sempre possibile: a volte compaiono biscotti (Interno con
ovale nero, 1958), altre volte tele (Il segreto della sposa,
1971), ma il più delle volte le entità visibili
negli Interni Metafisici assomigliano a strambe forme geometriche:
angoli, triangoli, squadre, righe e righelli, rombi, cubi
e altri poliedri. Secondo una profonda osservazione di André
Breton, "E' difficile collocare l'oggetto nell'opera
di de Chirico. Se da una parte non ha riferimenti al mondo
esterno, dall'altra gli mancano alcune caratteristiche tipiche
dell'immaginario" . In effetti queste strane entità
comprendono molte delle cosiddette forme allucinatorie constanti
, la cui presenza in diverse condizioni della mente (stati
ipnagogici e ipnopompici, deprivazione sensoriale, stati psicotici,
tossicologici, emicrania, ecc.) fu individuata da Heinrich
Klüver nel suo pionieristico studio del 1928: linee,
curve, grate, spirali e forme caleidoscopiche (vedi figura
5). Ed è notevole che sia stato lo stesso Breton a
suggerire per primo la correlazione con l'emicrania, concludendo
la frase precedente con questa illuminante osservazione: "Apollinaire
mi ha detto che de Chirico in quel periodo era molto sofferente
per certi problemi cenestetici (dolori addominali ed emicrania)
che potrebbero spiegare queste particolarità"
.
Il Sole nella stanza
Nel chiuso di una stanza, su un cavalletto (a volte su un
sofà o su un muro), appare un Sole in fiamme da cui
escono raggi abbacinanti, come quelli di una stella marina.
Dopo aver osservato Sole dentro una stanza, 1972, e Sole sul
cavalletto, 1973, si confrontino queste opere con l'illustrazione
prodotta da un paziente emicranico (figura 6). La somiglianza
è impressionante. Si noti poi un altro particolare
misterioso: l'astro brillante è sempre connesso ad
un altro astro nero e bruciato, una sagoma scura, come morta
o spenta. Le due forme sono collegate da una specie di cordone,
che a volte sembra un tubo, una miccia o un filo elettrico
ma è sempre in parte chiaro e in parte scuro. Che significa?
Vi è una spiegazione neurologica, semplice ma convincente.
E' possibile che de Chirico abbia qui tentato di descrivere
la dinamica delle apparizioni fosfeniche. Simili a punti luminosi
colorati e pulsanti, i fosfeni sono le cosiddette "stelline"
che tutti hanno visto avuto almeno una volta, dato che per
produrli basta schiacciare il bulbo oculare oppure subire
un calo di pressione, un'intossicazione, un attacco febbrile,
un forte stress, un trauma ed altro ancora. Ebbene, durante
l'aura emicranica a volte uno sciame di fosfeni (o uno solo)
entra lateralmente nel campo visivo e lo attraversa con movimento
lento e costante da una parte all'altra. A questo punto le
stelle spariscono, per meglio dire, si spengono.
I Bagni Misteriosi
L'elemento più strano dei Bagni misteriosi (Bagni misteriosi
con cigno, 1958, La scala dei bagni misteriosi, 1970, Il nuotatore
nel bagno misterioso, 1974), un ciclo pittorico su cui la
critica si è particolarmente arrovellata, è
l'acqua, rappresentata secondo linee a zigzag che ricordano
quelle di un parquet. De Chirico stesso sottolineò
questa somiglianza affermando di essere stato ispirato dalla
vista di un pavimento di legno . Secondo altri, invece, la
vera origine del tema potrebbe trovarsi in un'immagine della
pittura egizia che il Maestro di certo conosceva . Entrambe
le ipotesi possono essere vere, così come si può
sostenere che anche l'emicrania abbia avuto un ruolo nel processo
inventivo . Le forme a zigzag, infatti, sono particolarmente
frequenti nell'aura. Tipicamente appaiono sovrapposte alla
visione percettiva ordinaria, sconvolgendo un settore limitato
del campo visivo e muovendosi su e giù in un modo che
suggerisce il flusso di onde geometriche (figura 7).
I nastri incantevoli
I nastri incantevoli sono un tema frequente nella Neometafisica.
"Come una lira d'Apollo o uno scenario barocco …
quasi a mettere tra grosse virgolette le auto citazioni"
, appaiono per la prima volta nel 1968 e per un biennio fanno
da quinta a molte piazze d'Italia (Piazza d'Italia. Monumento
al poeta, 1969) oppure si sovrappongono alla scena in un ammasso
caotico (Bagni misteriosi con ornamenti e tempio, 1968); altre
volte sembrano uscire dalle interiora dei giganti (La tristezza
della primavera, 1970), altre volte ancora sono disposti in
coppia (Edipo e la Sfinge, 1968, e Donne misteriose, 1970).
Probabilmente si tratta di una rielaborazione del tema delle
spirali, un altro pattern frequente nell'aura emicranica (figura
8). Si noti che proprio con questi nastri inizia la lista
dei fenomeni che Ebdòmero-de Chirico descrive nelle
sue febbri spirituali: "Nastri incantevoli, fiamme senza
calore, avventate in alto come lingue lunghe, bolle inquietanti,
linee tirate con maestria di cui credeva persino il ricordo
perduto già da lungo tempo, onde tenerissime, ostinate
ed isocrone, salivano e salivano senza fine verso il soffitto
della camera" .
Archeologi, Gladiatori
ed altri giganti
Corpi umani anormalmente grandi compaiono in un gran numero
di opere di de Chirico dal 1925 in poi. Questi gladiatori
(Il riposo del gladiatore, 1968), archeologi (Archeologi,
1968), "scienziati" e "matematici" sono
seduti, soli o in coppia, il più delle volte in stanze
strette e chiuse. Come già abbiamo visto, la falsa
percezione di un ingrandimento del corpo è il sintomo
centrale della Sindrome di Alice nel paese delle meraviglie
e può presentarsi durante l'aura. E' interessante confrontare
le opere in catalogo con il disegno (figura 9) che Carroll
compose di sua mano per Alice's Adventures Underground , il
manoscritto che regalò alla sua piccola amica e da
cui deriva l'edizione a stampa di Alice nelle paese delle
meraviglie.
I buchi frastagliati
Come nel caso di Picasso, anche la pittura dell'ultimo de
Chirico sembra esplodere in un'accensione vitalistica. Ormai
da mezzo secolo conscio di appartenere alla storia, l'anziano
artista trova insospettate energie, la voglia di sfidare le
regole e il coraggio per farlo. Ne sono testimonianza alcune
straordinarie opere: Il ritorno al castello, 1969 e Battaglia
sul ponte, 1969. In entrambi i quadri le forme nere al centro
(la silhouette di un uomo a cavallo e la scena di battaglia)
sembrano ritagliate con le forbici ed incollate alla tela;
in termini pittorici sono buchi, spazi senza relazione tonale
o cromatica con il contesto. Probabilmente siamo di fronte
all'interpretazione di uno scotoma , uno dei più frequenti
sintomi visivi dell'aura. Lo scotoma è una specie di
buco, una zona di mancanza della visione che inizia come un
punto e si sviluppa assumendo la forma di un arco o di un
ovoide; il suo fronte di ingrandimento è caratterizzato
dalla presenza di linee a zigzag (vedi figura 10).
Ritorni e rimorsi
L'ultimo quadro che desideriamo commentare è Il rimorso
di Oreste, 1969. Da un punto di vista neurologico si intuisce
"a prima vista" lo sfondo auratico dell'esperienza:
la forma nera di un corpo umano ricorda uno scotoma, anche
se potrebbe essere una rappresentazione del cosiddetto corpo
parasomatico in un'esperienza extracorporea (figura 11), un
altro possibile sintomo della Sindrome di Alice nel paese
delle meraviglie.
Questa interpretazione unidimensionale, tuttavia,
non rende affatto ragione della complessità del quadro.
Chi è l'uomo di spalle? Che significa il suo incontro
con uno spettro emicranico? Perché poi il titolo parla
di un "rimorso", quando è ben noto che il
mito considera un "ritorno" di Oreste? Ricorda:
l'eroe greco torna a casa per uccidere la madre ed il suo
nuovo marito, l'assassino di suo padre. E' una storia tragica
ma non ha nulla a che fare con il rimorso, dato che secondo
la morale greca non vi è colpa nel comportamento dell'eroe.
Eppure non può trattarsi di un errore; de Chirico era
un profondo conoscitore del mito greco (anzi, era lui stesso
un fabbricatore di miti) e certo questa sovrapposizione fra
l'idea di ritorno e quella di rimorso nasconde un enigma.
Non abbiamo l'ambizione di svelare enigmi.
E' chiaro che questo livello d'analisi non può essere
affrontato solo con gli strumenti della neurologia e vi accenniamo
proprio per sottolineare questo limite. Troppe volte nel passato
i tentativi di spiegazione medico-scientifica dei processi
creativi hanno dato origine a semplificazioni riduzionistiche
o positivistiche (del tipo "ma allora non era un genio,
era solo un malato"). Anche il confronto con opere di
pazienti emicranici, che pure noi stessi proponiamo , non
deve essere inteso come un paragone estetico. Mentre lo scopo
finale dell'arte emicranica è una buona documentazione
dei sintomi, nei quadri metafisici gli stessi fenomeni sono
solo il punto di partenza di una complessa rielaborazione
culturale e creativa.
D'altra parte quest'elaborazione secondaria
non avviene nel vuoto e nel caso di de Chirico era fortemente
condizionata dalla necessità di trovare in qualche
modo una spiegazione agli strani fenomeni che gli accadeva
di vivere. Solo alla luce di questa considerazione l'enigma
del rimorso-ritorno comincia a chiarirsi. Ricordiamo che il
concetto di ritorno è forse quello su ci l'artista
più ebbe a meditare e che più di tutti riassume
la sua vicenda umana e stilistica. La critica dechirichiana
ha ricostruito alcune catene associative che ne dimostrano
la presenza in immagini apparentemente "innocenti".
Le fontane che bagnano molte Piazze d'Italia, ad esempio,
alludono al concetto nicciano di eterno ritorno (l'acqua che
ne sgorga, infatti, ritorna perennemente in un ciclo senza
fine), così come i numerosi Ulisse che tornano remando
su improbabili barchette in altrettanto improbabili mari al
centro di una stanza (Il ritorno di Ulisse, 1968 e 1973).
Del resto tutta la vicenda stilistica può essere pensata
attraverso la categoria del ritorno. La critica ha ormai acclarato
che anche il celebre abbandono della Metafisica, la svolta
del 1919 che a suo tempo suscitò tanto scalpore, fu
in realtà riequilibrata da una lunga serie di ritorni
(la cosiddetta Neometafisica è solo l'ultimo fra questi).
Siamo quindi in grado di capire la ragione
del rimorso di de Chirico-Oreste-Figliol Prodigo. Se notiamo
la drastica contrapposizione fra la forma nera d'evidente
origine emicranica ed il soggetto pseudo-umano "ritornante",
possiamo azzardare un'interpretazione suggestiva di questo
strano incontro. Dedicando i suoi ultimi anni alla Neometafisica,
l'ottuagenario pittore, come il Figliol Prodigo, torna alle
origini dopo un lungo periodo di "traviamento",
torna al padre, alla fonte generatrice della sua creatività,
ossia a quelle esperienze emicraniche (o "rivelate",
secondo la sua terminologia) che sessanta anni prima avevano
dato vita al suo genio metafisico e che per tutta l'esistenza
tanto aveva amato-odiato.
Bibliografia
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